Nikola Grbic, Fonte Internet

Domenica 28 gennaio 1996 fa molto freddo. Il Catania nel primo pomeriggio ha battuto per due a zero il Bisceglie (D’Isidoro e Naccari i marcatori) ma l’attenzione del popolo sportivo catanese non è concentrata sul Cibali e sulle sorti, per la verità un po’ claudicanti, della formazione rossoazzurra. Poco meno di un chilometro più ad est, dentro il Pala Catania, da qualche giorno dichiarato parzialmente agibile, proprio mentre i calciatori rientrano negli spogliatoi la Traco e la Samia Montecchio fanno il loro ingresso in campo per il riscaldamento.

I catanesi, da un lato della rete, per scrivere la storia, i vicentini, dall’altro, per dare un senso ad un campionato che rischia di non averne alcuno, diversi anni prima della canzone scritta da Vasco Rossi. Eh già, perché sul parquet del Pala Catania, intorno tremilacinquecento spettatori, il sestetto allenato da un signore che si chiama Ljubo Travica gioca per ottenere la ventesima vittoria consecutiva dall’inizio del campionato; vittima sacrificale designata dovrebbe essere proprio la Samia, capitanata da un ex della San Cristoforo che, ragioni di lavoro e di mancanza di offerte serie per giocare ad alto livello, hanno spinto ad emigrare.

I vicentini sono secondi in classifica, dieci punti (dieci!) dietro i catanesi che hanno fatto il vuoto sin dalle primissime battute del campionato e ormai sono alla ricerca dei punti mancanti per raggiungere con parecchie giornate di anticipo la promozione in serie A1. Catania non lotta per un obiettivo così importante da tre anni: la Pallavolo Catania era retrocessa dall’A1 l’anno prima e qualcuno pensò che, piuttosto che logorarsi in una inutile guerra dei poveri, era più sensato unire le risorse costruendo un progetto condiviso, forte e credibile.

Eccoli, allora, tutti insieme appassionatamente, Giuseppe Consoli (presidente della Pallavolo Catania), Antonio Spadaccini (massimo dirigente della Femar Acireale, a cavallo tra fine anni ’80 e inizio ’90 sempre in lotta per la A2), e Aurelio Valenti (presidente della Playa, che in B1 cerca di primeggiare in un carosello continuo di oriundi argentini e brasiliani). In panca viene chiamato Niky Lo Bianco, dietro la scrivania Fabio Pagliara e, visto che il Palasport di Acireale ormai c’è ed è pure di proprietà della squadra, si organizza un settore giovanile di altissimo livello, dando mandato a Carmelo Pittera di cercare tutti i talenti più promettenti dell’Italia meridionale, portandoli all’ombra del vulcano. La formazione, che dovrebbe conquistare la promozione, è talmente forte che potrebbe arrivare ad occhi chiusi tra le prime sei dell’A1: Pippi Lombardi in regia, capitan Massimo Castagna e Edwin Benne, martello olandese che giusto due mesi prima ci ha fatto piangere, nei quarti di finale dell’Olimpiade di Barcellona, al posto 4, Cristoph Meneau, re dell’attacco per cinque, e l’oggetto misterioso Grazietti (italo bulgaro di 2.08 metri) al centro, e Pippo Arcidiacono opposto; in panca tipini come Maurizio Mantovani e Beto Santi, Mauricio Montaruli e Manuel Benassi. Non dovrebbe esserci storia, sulla carta, ma poi capita che i due gruppi dirigenziali non si amalgamino, litighino, facendo mancare l’equilibrio necessario ad un ambiente che solo di quello avrebbe di bisogno.

Il risultato è un flop, la promozione sfumata a parecchie giornate dalla finee il divorzio tra la cordata Consoli, da un lato, e quella Valenti-Spadaccini dall’altro. Nel frattempo la Playa è stata promossa in serie A2, ci sarà il derby. Il pendolo della storia, però, comincia a battere dalla parte della Playa, che dopo due stagioni di assestamento, nell’estate del 1995 è pronta per giocarsi le sue carte nella partita della promozione in massima serie. Valenti e Spadaccini lo fanno affidando il ruolo di croupier a Nicky Lo Bianco, che accetta in cambio di una autonomia operativa pressoché assoluta. I due patron dicono di sì. Il professore si mette all’opera, girando in lungo e in largo l’Italia alla ricerca di atleti ma tenendosi alla larga da procuratori e mediatori. Il primo tassello è quello del tecnico: sulla panchina chiama Ljubo Travica, giramondo slavo maestro di volley che arriva a Catania da Spoleto portandosi dietro la famiglia, compreso il figlioletto Dragan. Insieme costruiscono la squadra.

Il primo colpo è di quelli sensazionali: torna Hugo Conte. Lo Bianco è volato in Argentina e lo ha convinto a lasciare Milano per provare a riportare la sua Catania in serie A1. Poi è la volta di Massimo Bedino, centrale affidabile in ricezione, discreto in attacco che ha il suo punto forte a muro, anche lui dalla Tally Gonzaga. Da Padova arriva Ferdinando Franceschi, carattere particolare, doti atletiche importanti ma una carriera sviluppatasi così e così colpa dell’incertezza sul ruolo; l’argentino di nascita gioca un po’ opposto un po’ da posto 4, anche se la ricezione non è certamente il suo fondamentale migliore.  Il fatto è che tecnicamente è un giocatore con lacune, discontinuo in attacco per essere il principale terminale offensivo. Travica e Lo Bianco credono su di lui, e poiché il ruolo d’opposto è del milanese Stefano Pirola (confermato dalla stagione precedente, bomber vero che troppo spesso si è trovato a predicare nel deserto), viene a Catania per giocare al 4. Il secondo centrale è Peppe Bua, da Castelvetrano, in cerca della definitiva consacrazione, in panchina un manipolo di catanesi (Latella, Privitera, D’Angelo, Zappalà). Manca il primo palleggiatore. E qui, l’intuizione geniale di Travica, sposata da Lo Bianco: a Montichiari si è messo in luce l’anno prima un giovane palleggiatore serbo, forte a muro, con una battuta al salto molto incisiva ed una visione di gioco moderna: ha fatto divertire i vari Pasinato, Zoodsma, Da Roit, Giazzoli. Il problema è che, sul finire della stagione, si è infortunato alla mano, è stato sottoposto  ad un delicato intervento e nessuno si sente di garantire sul suo recupero. “Garantisco io” fa Travica. Tanto basta a Lo Bianco per presentarsi da Comincioli, presidente della Gabeca, che dà in prestito il giocatore.

Di suo, Nikola Grbic, pur di dimostrare a tutti che è ormai recuperato, si accontenta di uno stipendio molto al di sotto del suo valore. La squadra è fatta. Prendendo i giocatori singolarmente nessuno avrebbe nulla da obiettare. Il fatto è capire come giocheranno insieme, perché è un sestetto che presenta un punto interrogativo grande quanto una casa sulla tenuta in ricezione.  Grbic è un grande prospetto, ma sarà capace di trovare l’intesa con Conte, abituato a giocare con palleggiatori molto diversi come impostazione, come Kantor e De Giorgi? Franceschi continuerà nella sua altalena di rendimento, facendo vincere una partita e perderne due?

La risposta migliore, per Travica, è mettersi a lavorare in palestra, spiegando la sua visione di gioco alla squadra, portando dalla sua parte Hugo Conte, facendo sentire la sua fiducia a Nikola. Quando finalmente si arriva in campo, il risultato è quanto di meglio si poteva sperare: la Traco, dopo qualche passaggio a vuoto in coppa Italia, gioca una pallavolo di impatto devastante, rovesciando quello che doveva essere il suo tallone d’Achille, la ricezione, nella base di un meccanismo di gioco perfetto, sapientemente regolato da Grbic che responsabilizza tutti i suoi attaccanti, lasciando a Hugo l’onore delle palle decisive.

Diciannove vittorie consecutive. Quando scende in campo contro Vicenza la Traco è imbattuta ed è veramente ad uno sputo dalla promozione diretta. La Samia, che gioca per la seconda piazza e per i play off, non è certamente una squadretta. De Palma in regia, il numero uno dei numeri due, Basso e Locanto ( proprio lui, uno dei prodotto usciti dall’effimera esperienza della cantera di Pittera) al centro, Trimarchi e Milocco al posto quattro, Antonov, ormai avanti negli anni ma sempre uno dei giocatori della grande Russia, opposto. In panchina Piero Molducci, allenatore sanguigno che sa come motivare i suoi. Altroché: pronti via e la Samia va sul 2-0. La Traco è come se non si fosse presentata in campo. I tremilacinquecento del Pala Catania sono increduli. Si aspettavano un Vicenza motivato, ma non potevano certamente immaginare che a suonare la carica fosse proprio lui, Alessandro Trimarchi. In tribuna parenti e amici a fare il tifo e lui tira fuori una prestazione spettacolare, come se fosse, insieme, Karch Kiraly e Marco Bracci: non sbaglia una ricezione, è una autentica idrovora in difesa e in attacco fa uscire letteralmente fuori di testa Bedino e Pirola con una serie ininterrotta di mani e fuori. Il pubblico gli si scaglia contro, lui, il catanese che vuole guastare la festa; e più gli urlano contro più si esalta. La Traco si ricorda di essere la capolista imbattuta e comincia a giocare, riequilibrando il conto dei set sorretta da Pirola e Conte. Al quinto, e decisivo set, sale in cattedra Basso, di nome ma non di fatto, che firma quattro muri consecutivi che traghettano la sua formazione sul 11-8. Finisce 15-11 per la Samia. La Traco interrompe il filotto di vittorie: dovrà aspettare qualche settimana per la matematica certezza. Trimarchi salta la recinzione e va ad abbracciare i suoi in tribuna. Solo allora il Pala Catania si lascia andare ad un applauso. E, mentre la folla sciama fuori dal palazzo, molti si chiedono chi sia stato quel pazzo che gli abbia lasciato attraversare lo Stretto senza far niente per trattenerlo.

Questo articolo a firma Luigi PulvirentiVice Presidente Messaggerie Volley, è stato pubblicato sulle pagine del quotidiano LA Sicilia nel 2014 per la rubrica “Le grandi sfide”.