Ieri sera, mentre aspettavamo di imbarcarci sul traghetto, con i nostri nove posti ordinatamente in fila e i ragazzi che chiacchieravano in mezzo al serpentone delle auto, pensavo che, in fondo, si fa sport per vivere giornate come quella che era appena finita. Dentro o fuori. Vincere tutto o perdere tutto. Giocarsi una intera stagione nel corso di una partita, concentrando in un unico atto sportivo nove mesi di allenamenti, sacrifici, fatica, gioie e amarezze, vittorie e delusioni, incazzature e riconciliazioni, momenti in cui tutto è sembrato sfuggire di mano e attimi in cui la maniera di raggiungere il tuo obiettivo ti è apparsa chiara. E viverle, partite come quella di ieri, costituisce il significato stesso dello sport di squadra. Nel suo memorabile monologo conclusivo del film “Ogni maledetta domenica”, Al Pacino pronuncia parole scolpite nella roccia: qui, o risorgiamo come collettivo o saremo annientati come singoli.
E ieri, nelle condizioni migliori, in quanto le peggiori, per compiere una impresa sportiva – fuori casa, davanti ad un palazzetto stracolmo di tifosi caldi, appassionati ma corretti, sotto di un set e parecchio distanziati nel secondo – con solo la vittoria come obiettivo, Messaggerie ha vinto da collettivo. Da squadra, composta da tredici/quattordici elementi – includendovi il grande Piero, direttore sportivo ma atleta aggiunto che, come tale, ieri si è pure preso un rosso dalla panchina -. Perché se rimane un insegnamento, da ieri, è che per vincere i campionati non basta avere sei titolari, sette con il libero: bisogna avere una grande rosa, averne dodici di titolari, pronti ad entrare in qualsiasi momento. Dodici atleti dove quello che, magari gioca di meno in questo momento – come Fulvio – in allenamento fa numeri impressionanti contribuendo a mantenerne altissimo il livello, lavorando come un pazzo per farsi trovare pronto e per allenare i compagni di squadra nella migliore maniera.
Ieri abbiamo stretto i denti nelle difficoltà. Uno a zero per loro, ventuno-quindici nel secondo set, tutto sembrava sfuggire di mano. E invece no. E invece abbiamo tenuto botta, riuscendo a rientrare in partita come squadra perché abbiamo saputo farlo da singoli. Nel corso dei cinque set abbiamo cambiato modulo, modo di murare, ruolo ad alcuni giocatori, Frank ed Eros sono andati in panchina per poi tornare in campo ed essere determinanti; Andrea, che in queste settimane ha fatto la spola tra la panchina e il campo, ieri ha dimostrato quanto si possa essere determinanti partendo da fuori, con tre turni di battuta che ci hanno fatto rientrare in partita nel secondo e nel quarto, e poi spaccato in due il quinto set. E poi Giovanni e Robertino, al centro, con la loro secondo giovinezza sulla soglia dei trent’anni: te li trovi di fronte e pensi come li blocco?, come faccio a passare? Ciccio, il nostro uomo in più, il jolly capace di entrare in tutti i momenti per dare stabilità in ricezione insieme alla sua quota di punti con quella tesa al posto quattro che il muro calabrese raramente ha capito. Adri, il capitano, con il difficile compito di regolare il gioco di una squadra che di regolare, in certi momento, ha poco, eppure sempre lì, a suonare la carica; e Mario, che ieri è entrato spesso in momenti determinanti, con il doppio cambio; Emy, macchina da ricezione e difesa, con la doppia pressione di giocare nel paese dal quale proviene il ramo materno della sua famiglia; Claudio, che sembra non essere mai andato via dalla Messaggerie, che ieri ha una volta di più dimostrato cosa voglia dire essere un fuoriclasse; Simone e Teo, i più giovani, i più scapestrati, ieri due ultras in panchina.
Gianpi, il nostro mister, il nostro grande mister, ieri una volta in più ha dimostrato che il volley non è solo scienza e preparazione ma capacità di adattamento al singolo momento della partita. Dove ci voleva una soluzione creativa, ieri l’ha trovata. Ed ha funzionato. E se qualche volta funzionano meno, fa parte del gioco. Ma, signori, non si è la capolista per caso. Questa settimana è stata dura per Gianluca, il nostro osteopata, alle prese con questioni familiari per fortuna superate, eppure ieri presente, prezioso nel preparare i ragazzi prima della partita. Ciccio, il nostro grande preparatore, che ci ha fatto arrivare sin qui in uno stato di forma ottimale; Orazio e Damiano, che hanno fatto notte per preparare il video; Pierluca, sempre presente e sempre di più uomo macchina della Messaggerie. Nicky, che non ci ha mai fatto mancare i suoi consigli e i suoi suggerimenti; Giuseppe, l’avvocato, a casa per ragioni familiari che non si è staccato dalla diretta; Ciccio La Giglia, che in fiera a Firenze al punto numero 15 del tie break si è messo ad urlare come un ossesso, lasciando di stucco le persone che giravano tra gli stand. Federica, il nostro medico, che voleva esserci ma era di turno in ospedale; Mariangela, preziosa responsabile comunicazione, ieri alla sua prima trasferta, e Mimmo, fotografo ufficiale che, mi dice, ieri ha fatto alcuni scatti di cui non so se dovrò vergognarmi o andare orgoglioso. Mi cugino Enzo, che ieri ci ha accompagnato e, dopo tanti bocconi amari, ha vissuto una grande giornata di pallavolo.
Ma ieri non eravamo da soli. Ieri eravamo con centocinquanta tifosi al seguito. C’erano mamme, papà, sorelle, fratelli, fidanzate, i nostri ragazzi del settore giovanile, i loro straordinari genitori, ma c’erano tanti catanesi che hanno riscoperto la pallavolo e la passione per essa. C’era Cesare, storico gestore del tabacchi di via Fava – al secolo via dello stadio – , che ieri ha calato la saracinesca alle tredici e trenta e con Patrizia, sua moglie, e sua figlia è venuto con noi. C’erano tanti ragazzi e ragazze che hanno scritto per prenotare il posto il pulmann, e molti ci dicevano che non vedevano una partita da anni. C’era molta Catania collegata in streaming: ci dicevano che i contatti sul sito che trasmette in diretta le partite del Cinquefrondi ieri sono stati dieci volte superiori alla media. Il mio telefonino e quello di Nata non hanno mai smesso di squillare e ricevere messaggi e whatsapp di gente che stava seguendo la partita. E questa, consentitemelo, è la cosa più bella. Perché vuol dire che la passione per la pallavolo, a Catania, non è mai morta. Si era solo messa in pausa.
Adesso onoreremo l’ultima di campionato. Poi ci saranno i playoff. Che giocheremo nel tempio del volley catanese, al Palazzetto. Perché Messaggerie ha preso casa, definitivamente, a Catania.
Ah: poi ci siamo io e Nata. Quello che ci siamo detti, ieri sera, a fine partita, però rimane tra noi.
Questi siamo. E siamo la Messaggerie. Vi aspettiamo ai playoff, perché per andarci a prendere la serie A, qualunque sia l’avversario da battere, abbiamo bisogno di voi. Abbiamo bisogno di un Palazzetto che tremi, come faceva tremare, tanti anni fa, persone che passarono alla storia del volley. Noi ci crediAmo.
Viva la pallavolo.
Luigi Pulvirenti
Vice Presidente